La verità e la biro, Tiziano Scarpa
Da qualche parte Pennac scriveva che un lettore ha il diritto di non finire un libro. Non ricordo peró se ne consideri un altro, quello di leggere un libro a pezzi. La verità e la biro di Tiziano Scarpa se lo merita. Fate come ha fatto lui quando si è messo a scrivere che deve aver pensato “dai, ora scrivo questo bel libro sulle verità delle donne della mia vita, su quanto mi sono rimaste a lungo oscure, su come hanno illuminato angoli bui della mia vita quando le ho finalmente afferrate” e dopo un po’ di pagine “anzi no, scrivo un libro sul rapporto tra la verità sbattuta in faccio in spregio al vero, per odio e per sollazzo perchè credo di avere una chiave di lettura sulla politica che rivendica il diritto di dire le cose come stanno. Ah no, aspetta ne scrivo uno sulla differenza tra il teatro greco e il teatro romano, sul fatto che quello romano non insegna nulla perché ti sbatte la verità in faccia e ti impedisce di empatizzare perchè il gladiatore che ti sta davanti muore davvero”. Fate come ha fatto lui, leggete le prime 120 pagine e poi le ultime tre. Buttate le altre, come ha fatto lui (l’editoria italiana e francese sono le uniche che concedono agli autori noti di non essere rigorosi – prova a pubblicarlo con ff un libro cosí caro Tiziano). Peró fino a pagina 120 concentratevi perchè lí in mezzo, ve lo assicuro, ci sono anche dei pensieri sul patriarcato, sul femminicidio e anche sulle foto di Ruth Orkin.