Alastair Bonnett, nel suo Atlante dei luoghi scomparsi, esplora 48 posti che, sebbene reali, sembrano usciti dalla fantasia: città invisibili, isole artificiali, territori abbandonati o mai abitati, come una città vicino a Chernobyl, un cimitero abitato nel nord di Manila, o un’isola contesa tra italiani, inglesi e francesi sommersa tra Sciacca e Pantelleria. Ogni luogo è un “non-luogo” fuori dalle mappe, un inno all’imprevedibilità e al mistero di un mondo che crediamo di aver interamente esplorato e che invece rivela spazi ai margini, dimenticati o volutamente esclusi. Con queste storie, Bonnett celebra il valore dell’ignoto, mostrando come il territorio e le sue forme siano alla base dell’identità e della memoria collettiva. In un’epoca in cui ogni confine sembra tracciato da Google Maps, Bonnett ci ricorda che non tutto può essere catalogato o spiegato, e che c’è ancora spazio per la fantasia e la scoperta. Attraverso questi luoghi perduti o invisibili, l’autore dipinge un’immagine del mondo che sfugge alle definizioni rigide, dove ogni confine è sfocato e pronto a svelare realtà che non riusciamo a dominare. Il suo libro diventa così un omaggio ai margini e ai misteri, uno sguardo sul mondo come “fabbrica” dell’identità umana, invitandoci a riscoprire il fascino dell’imprevisto.