Abel, Alessandro Baricco
È probabile, molto probabile, che non ci sia nulla da capire e tutto quel che si debba fare sia piazzarsi dritto al centro, facendo attenzione a non perdere l’equilibrio e _sentire_. Che hai trovato la posizione giusta lo capisci dall’impressione che Alessandro ti stia di fronte e ti spinga pensieri e parole su nel cranio passando prima dal naso e dalla gola. Quello che mi sono portato a casa io è che questo libro – l’ultimo? il primo dopo l’ultimo? non lo sappiamo – parli di scrittura (o forse di qualsiasi cosa uno sia convinto di saper fare bene), di morte (la propria, ma anche quella delle persone che amiamo e delle persone che ammiriamo), di umanità (di quella cosa, la _sostanza_, che ci rende simili nella nostra provenienza e nel nostro punto di arrivo), di fragilità (la propria, da cui spesso ci si difende con un gesto di violenza o con un sorpruso), di libertà (quella che ha bisogno di spazio e a cui piace confondere l’ordine del tempo).
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Leggetelo parola per parola (Baricco le ha scelte una per una, è il minimo che voi possiate fare per lui). Cantatelo, altrimenti non funziona (aiuta a sentire meglio). Abel ha la bellezza delle cose inutili. Senza la vita avrebbe sicuramente meno gusto. Il nobel Baricco non lo prenderà mai, il suo è un altro campionato, ma nessuno sarà mai veramente in grado di correre come corre lui. E poi fuori fa freddo e un libro come questo fa bene soprattutto sotto una coperta di lana, le gambe intrecciate su una comoda poltrona.